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20 Aprile 2016

SI RIPARTE DALL’AGRICOLTURA

20/04/2016 – Nel mezzo di una profonda crisi economica, il Sud Sudan cambia rotta. Con il calo dei ricavi del petrolio, il governo pare aver compreso l’impossibilità di reggersi sulle sole entrate del greggio, e si è appellato ai suoi 12 milioni di abitanti per rilanciare l’importanza del settore agricolo.

Prima del crollo dei prezzi del petrolio sotto i 30 dollari al barile nel mercato internazionale, il Sud Sudan era abituato ad importare quasi tutti i beni primari dall’estero: il pollo dal Brasile; pomodori, cipolle, farina di mais, olio, latticini e fagioli dal vicino Uganda; la Cina e Dubai qui esportano una varietà di beni tra cui bevande, telefoni cellulari e materiali costruttivi.

Una politica insostenibile, considerando che ben il 75% delle terre sud sudanesi sarebbe adatta all’agricoltura. «Il Sud Sudan è una terra vergine, ciononostante importiamo la maggior parte del cibo dai Paesi vicini» ha detto il ministro delle finanze, David Deng Athorbei durante un recente incontro istituzionale a Juba.

Ogni anno, il Sud Sudan spende tra i 200 e 300 milioni di dollari nell’importazione di beni alimentari, secondo le stime fornite dalla Banca di Sviluppo Africano (AFDB). I dati indicano come il Paese attualmente importa il 50% delle sue merci, tra cui il 40% dei cereali, da nazioni vicine, in particolare da Kenya, Uganda ed Etiopia.

Nei primi due anni d’indipendenza, in Sud Sudan venivano prodotti 245.000 barili di greggio al giorno con miliardi di dollari di entrate all’anno, pari al 98% delle entrate statali totali. Questo ha condotto l’elite politica a non dare valore ad attività primarie come l’agricoltura.

Una tendenza che sta cambiando. Il calo nella produzione di petrolio, nei prezzi mondiali del greggio e il conflitto devastante interno al Sud Sudan, senza contare la mancanza di una valuta forte, ha innescato carenza di merci sul mercato. «Dobbiamo diversificare le entrate. Abbiamo oro a Kapoeta, al confine col Kenya, bestiame e legname» ha evidenziato Gabriel Alak, ufficiale del movimento per la liberazione del Sudan (SPLM).

 

Si sta puntando alla produzione di cibo per mitigare l’impatto del conflitto scoppiato nel dicembre 2013 e ad oggi senza soluzione. Gli esperti stimano inoltre che potrebbero essere raccolti fino a 300 mila tonnellate di pesce dal fiume Nilo e dai suoi affluenti. Mentre il Sud Sudan cerca di dare impulso all’agricoltura, tuttavia, i prezzi continuano a schizzare ben oltre la portata dei poveri. Per questo rimane l’urgenza di fornire generi alimentari e medicinali ad una popolazione priva di tutto, in balìa delle decisioni di pochi e degli scontri che ancora non sembrano arrestarsi.

 

(fonte: IPS News Agency)

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