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7 Luglio 2016

5 ANNI DI SUD SUDAN

06/07/2016 – Sono trascorsi quasi cinque anni esatti da quel 9 luglio 2011 che ha segnato la nascita della 193^ nazione africana: il Sud Sudan. Un’indipendenza voluta dal popolo e suggellata da oltre il 98% di voti referendari favorevoli al distacco dal governo di Khartoum. Ma come sta oggi il Paese?

E’ sofferente. La crisi scoppiata nel 2013, e apparentemente placatasi con gli accordi per un governo di unità nazionale, di recente siglati tra l’attuale presidente Salva Kiir e l’opposizione guidata da Riek Machar, non ha mai veramente smesso di stringere la popolazione nella morsa dell’insicurezza e delle assurde violenze.

L’ultimo episodio di cui è giunta notizia riguarda un attacco avvenuto all’inizio di questa settimana a Wau, nel nord-ovest del Paese. Alcuni testimoni oculari, intenti a cercare rifugio nel compound della diocesi locale, hanno raccontato di un attacco efferato, con uccisione di bambini, donne violentate per le strade e sparatorie sui civili, atti perpetrati da soldati del SPLA e da giovani di etnia Dinka che hanno attaccato le aree intorno a Wau abitate dai Fartit.

Secondo le Nazioni Unite, sarebbero più di 70.000 gli sfollati e decine le vittime di uno dei più feroci attacchi di tutto il 2016. E se da un lato la fiducia del popolo nei confronti del trattato di pace e del governo, per ovvie ragioni, vacilla, dall’altro sale più chiaro che mai il grido di dolore delle madri cui sono stati strappati i figli: «Noi non vogliamo il tribalismo, vogliamo solo pace e stabilità».

Un appello a cui si è unita anche la chiesa cattolica sud sudanese, per mezzo del vescovo di Tombura Yambio, mons. Edward Hiboro: «Simili tragici episodi nascono dalla mancanza di dialogo perché, quando il dialogo è assente, le persone ricorrono subito alla violenza ed allo scontro» ha commentato, esortando le istituzioni a impegnarsi concretamente. «Ogni leader dovrebbe riflettere sul tipo di Paese che vuole e trovare il modo per raggiungere le persone con la pace, spianando così la strada per una nazione stabile».

(fonte: The Guardian, Radio Vaticana)

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